La
credibile
storia
del
bambino
che voleva cambiare il mondo
Era
appena andato a letto e come al
solito si era coperto anche la
testa.
Aveva
quasi dieci anni ma il buio
ancora lo intimidiva e così,
sotto le coperte, si sentiva più
protetto e sicuro quasi che
quella morbida corazza di
mollettone lo proteggesse da
tutti i pericoli e le paure del
mondo.
Il
padre entrò in camera pensando
che fosse già addormentato e
sollevò con cautela la coperta
per scoprigli la testa.
Non
dormiva ancora ed ad occhi
chiusi chiese:”Babbo pensi che
il mondo si possa salvare
dall’inquinamento? Iopenso alle tartarughe
che scambiano le buste di
plastica per meduse e muoiono
soffocate e ai cuccioli di foca
uccisi per la pelliccia e sono
triste”.
Era
tardi e Babbo, così lo chiamava
da sempre,tentò
una risposta breve e
rassicurante:”Dipende dai
bambini come te che sapranno
cambiare il mondo costruito
dagli adulti”.
“Io
potrei andare a parlare al
Comune ma chi lo ascolterebbe
uno che non ancora finito le
elementari?”
Nel
suo immaginario il Comune era il
luogo della parola, della
democrazia.
“Le
persone non si giudicano dagli
anni che hanno o dalla loro
altezza ma dalla intelligenza
delle loro idee e per questo che
penso che i bambini come te
potranno cambiare il mondo”
“Fammi
pensare uhm .… se tutta
l’immondizia si portasse sulla
bocca di un vulcano e si facesse
bruciare con il magma potrebbe
funzionare? Anzi no sesi usasse un acido
molto potente per scioglierla….
l’immondizia scomparirebbe…”
L’emergenza
rifiuti di Napoli risolta con il
più grande inceneritore naturale
d’Italia: il Vesuvio. Pensò
Babbo.
“Babbo
qual è il mare più inquinato
l’oceano o il mediterraneo, il
mar tirreno o il mar ligure…..”
“I
mari chiusi, piccoli, sono i più
inquinati, gli oceani meno
perché sono grandi, immensi, ora
però è davvero tardi dormi
cucciolo, buonanotte!”
Babbo
uscì dalla camera mentre sotto
la coperta Enrico cercava un
pensiero dolce e rassicurante
che lo conducesse al sogno di
quella notte. Sfogliò
mentalmente le immagini di
cuccioli di cane che
pazientemente aveva salvato sul
computer da google e quando
giunse al preferito di Mamma si
addormentò.
Il
nomignolo di Mamma era cockerino
e quando Enrico suonava
al citofono per risalire a casa
dopo il gioco alla domanda chi è
rispondeva con un triplice verso
di cane: uahu uahu uahu.
Nel
sogno di quella notte Enrico, cockerino
e Giulia, la nonnigna di Enrico,
camminavano lentamente su una
lunga spiaggia bianca alla
ricerca di conchiglie e pezzi
minuscoli di corallo rosso. In
mare, non molto lontano dalla
riva, a bordo della barca Liz
nonno Nemo seduto al
timone osservava discreto ma
attento.
Nonno
Nemo era un giovane-vecchio
brusco e irascibile che si
scioglieva come un calippo al
limone, di cui era ghiotto, solo
per il suo unico nipote Enrico.
Tra
cockerino e Giulia
Enrico camminava e ogni tanto si
chinava per raccogliere qualcosa
che attirava la sua attenzione:
un piccolo pezzo di vetro verde
levigato dal mare o un osso di
seppia tra due impronte di
gabbiano sulla sabbia.
Non
c’era plastica in quel sogno,
nessuna bottiglia abbandonata e
neanche una busta travestita da
medusaad
ingannare le tartarughe.
Si
sentiva protetto tra la terra e
il mare, tra cockerino
e Giulia sulla sabbia e nonno
Nemo in mare,mentre
l’azzurro del cielo era la sua
palla di vetro.
La
gran parte dei sogni al
risveglio si dimenticano ma
qualcosa rimane ed è la loro
scia che disegna l’umore del
nuovo giorno. Quella mattina
Enrico si sentiva forte e
fiduciosoe
avrebbe anche potuto parlare al
Comune delle sue soluzioni persconfiggere
l’inquinamento nonostante i suoi
quasi dieci anni e i 140
centimetri scarsi.
Era
campione mondiale in caricadi finta puzzetta con
l’ascella. La mano sinistra a
concasotto
l’ascella destra edil movimento, su e giù,del braccio libero per
comprimere l’aria e creare suoni
sconci.
Non
aveva ricevuto nessun premioufficiale per questa
sua abilità tranne che
l’ammirazione dei compagni di
scuola che cercavano di carpigli
i segreti tecnici.
Festeggiò
così il suo buonumore: prima
della svegliadei
genitori, programmata per le
sette meno un quarto,
risuonarono tre rumorose
puzzette seguite da una risatina
compiaciuta.
Era
un buon giorno per cambiare il
mondo e, se proprio si doveva
fare, quello era il giorno
giusto.
Prese
un foglio bianco dalla stampante
del computer e, con grafia
veloce in stampatello maiuscolo,
mise in fila i problemi così
come gli venivano in testa :
PARLARE
AL COMUNE
SALVARE
I CUCCIOLI DI FOCA
SALVARE
LE BALENE
PULIRE
IL MARE
ELIMINARE
L’IMMONDIZIA (VULCANO O ACIDO)
OCCHIALI
AI RAGGI X PER TARTARUGHE
Non
gli veniva in mente altro e
sotto OCCHIALI A RAGGI X PER
TARTARUGHE firmò, questa volta
in corsivo, con il suo nome: Enrico.
Enrico
era il nome che per lui aveva
scelto Babbo riuscendo a vincere
i dubbi e le resistenze di Mamma
a cui,almeno
inizialmente, piaceva di più
Luca che era anche il nome di
suo fratello e futuro zio di
Enrico.
Babbo
disse che con due Luca in
famiglia potevano crearsi dei
malintesi e spiegava:” Per
esempio se qualcuno dice: Luca
ha fatto la cacca. Nonna Anna
peÀþ\Àþ\ŒÏÌ2ôþ\on
sÌþ\@Ìþ\meno per zio Luca”.
Se
Enrico ci fosse già stato
avrebbe detto con tono di
riprovazione:” Babbo non fa
ridere” come spesso commentava
le battute stile iceberg di
Babbo.
Dopo
aver firmato il suo programma
per cambiare il mondo e salvarlo
dall’inquinamento Enrico lo
rilesse velocemente, lo ripiegò
in due e lo infilò tra le pagine
di uno dei suoi libri preferiti:
Harry Potter e la Camera dei
Segreti.
Aveva
una passione speciale per i
libri. Li prendeva in mano e
prima di tutto aprendoli ci
ficcava la faccia dentro per
annusarli: gli piaceva
quell’odore di cellulosa che
abitava tra le pagine ed ogni
libro aveva il suo profumo di
legno d’albero trasformato in
storia.
Della
saga di Harry Potter, il suo
eroe preferito, aveva tutti i
libri, dalla Pietra
filosofale ai Doni
della Morte, sette libri
che occupavano uno spazio tutto
loro nella libreria-camino del
soggiorno. Spesso li disponevain una pila così
perfetta da sembrare un solo
libro aggiustando prima l’uno
poi l’altro con cura maniacale.
La
passione per la lettura gli era
sta trasmessa da Nonna Anna,
prima moglie di Nonno Nemo e
madre di Mamma, che all’incirca
dopo il suo primo anno aveva
iniziato a leggergli i primi
libri cartonati con grandi
lettere stampatello e figure
colorate.
Nonna
Anna leggeva con la voracità di
una leonessae
la velocità di un aereo: la
biblioteca di casa con tutte le
sue storie per lei non aveva più
segreti ormai da molto tempo.
Disteso
sul divano, nella sua posizione
preferita,Enrico
riprese in mano Harry
Potter e la Camera dei Segreti
per estrarre il foglio su cui
aveva scritto i passi per
salvare il mondo
dall’inquinamento.
Rilesse
PARLARE AL COMUNE SALVARE I
CUCCIOLI DI FOCA SALVARE LE
BALENE……. “Quarta elementare,
139,5 cm., 1395 mm. ma chi lo
ascolterebbe uno che non ancora
finito le elementari?” si disse
a bassa voce.
Forse
era troppo piccolo, per fare
tutte quelle cose occorreva
molto tempo e a quasi dieci anni
si vuol fare tutto e subito, ma
una cosa importante, forse,
poteva farla.
Si
alzò di scatto e corse a
prendere un foglio bianco dalla
stampante e di traverso con
lettere stampatello maiuscole
molto grandi scrisse: FAR
SMETTERE DI FUMARE BABBO.
A
passo deciso entrònellacamera di Babbo e Mamma
che ancora poltrivano a letto
perché era domenica cominciando
ad abbaiare:” uahu uahu uahu”.
Cockerina
quella mattina era mammastra
perche anziché abbaiare
disse scocciata:”Enrico è
domenica lasciami riposare”.
Babbo
invece sembrava ancora lui e
rispose in lingua umana:”che c’è
cucciolo?”.
“Babbo
perché non smetti di fumare se
sul pacchetto delle sigarette
c’è scritto che fa male?”
“A
volte anche gli adulti fanno
cose stupide, capita”ribattè
Babbo.
“Babbo
ma tu perché fumi?”
“Fumo
perché se non fumassi non potrei
smettere di fumare!” rispose
Babbo in perfetto stile
cacca di Luca.
Dopo
duesecondi
“Ah ho capito era una battuta.
Babbo non fa ridere”.
Capì
anche che Babbo era in
difficoltà e che, soprattutto,
quella era una cosa che si
poteva fare: FAR SMETTERE DI
FUMARE BABBO.
Non
era necessario andare in Comune
a parlare e poteva bastare la
quarta elementare e il suo quasi
un metro e quaranta centimetri
perché, come aveva detto la
notte prima Babbo: “Le persone
non si giudicano dagli anni che
hanno o dalla loro altezza ma
dalla intelligenza delle loro
idee e per questo che penso che
i bambini come te potranno
cambiare il mondo”.
Almeno
quello più vicino a loro.
Il
pallone
di Achille
In quel
cortile di periferia, tutti i giorni
dopo la scuola, il suo gioco era
sempre lo stesso.
Davanti ad un
muro di cemento , sul finire di una
piccola discesa, col pallone di
plastica pesante giocava per ore,
senza stancarsi.
Quel muro era
speciale, un ottimo compagno di
gioco, e non sbagliava neppure un
rimbalzo.
Ormai tra i
due si era stabilita un intesa
perfetta, dopo anni di allenamento
comune, sapevano tutto l’uno
dell’altro, il muro e il bambino.
Il muro,
taciturno e statico, era preciso ed
affidabile.
Il bambino,
più piccolo e minuto dei bambini
della sua età, confidava sulla sua
presenza perché in quel cortile era
l’unico a cui piacesse il calcio e
poi era un compagno instancabile.
I bambini non
scelgono mai dove vivere subiscono
le scelte degli altri, i cosiddetti
grandi.
Aveva solo
cinque anni quando era stato
materializzato in quella città
sconosciuta, che maleodorava di
città, da una piccola città della
Sardegna che invece odorava ancora
di paese.
Avevano
raggiunto, con la sorellina Maria di
tre anni e la mamma, il padre
emigrato.
Affrontarono
un lunghissimo e interminabile
viaggio che gli si impresse
nell’anima.
Prima su un
vecchio treno trainato da una
locomotiva a vapore, poi su un
grande barcone, che chiamavano
traghetto, poi ancora su un altro
treno col quale raggiunsero
finalmente, esausti, la meta.
La nuova casa
erano due piccole stanze, adibite a
cucina e camera da letto, mentre il
gabinetto si raggiungeva attraverso
un ballatoio percorrendo,
all’aperto, una decina di metri.
Era il periodo
del boom economico ed il nord con
Torino , Milano e Genova
rappresentava il lavoro ed il futuro
dei figli per milioni di meridionali
in cerca di riscatto.
Negli anni ’60
gli extracomunitari non venivano
dall’Africa, dall’Asia o dai paesi
dell’Est europeo ma da molto più
vicino: il sud più povero ed
arretrato dell’Italia.
Achille non
aveva scelto quel luogo ma, come
tutti i bambini del mondo, lo aveva
presto trasformato nel posto
migliore per vivere e giocare.
Non aveva
bisogno di molte cose: un pallone,
un piccolo cortile e un muro
potevano bastare.
La squadra del
suo cuore era l’Inter di cui
conosceva a memoria la formazione: Sarti,
Burgnich,
Facchetti, Bedin, Guarneri,
Picchi, Jair, Mazzola, Peirò,
Suarez, Corso.
Ma nel suo cuore trovavano spazio
cosi tante altre cose che anche lui
se ne stupiva.
Era
segretamente, e perdutamente,
innamorato di Giulia una bambina
dagli occhi castani e le trecce
bionde che abitava al primo piano di
una casa che si affacciava sul
piccolo cortile.
Giulia invece
era sfacciatamente innamorata di
Antoine un cantante francese allora
in voga che cantava una canzoncina
stupida ed orecchiabile.
Giulia, per
sottolineare le stupidate e gli
eroismi da cortile di Achille, lo
chiamava con un tono di finta
riprovazione : SALAME!
“Salame”, che
lui ricordasse, era l’offesa più
dolce che avesse mai ricevuto.
Gli piaceva il
tono di complicità contenuto nel
suono di quella parola, quasi un
buffetto che, prima di toccare la
guancia, si trasforma in una
carezza.
Giulia aveva
solo due anni meno di Achille ma un
senso della giustizia, per quel
tempo e per la sua età,
sorprendentemente anticonformista.
Parteggiava
sempre per i più deboli come, nei
film western, gli indiani pellirossa
perseguitati dai visi pallidi
cowboys, gli insopportabili cattivi.
Adorava tutti gli animali ma aveva
anche una passione speciale per i
cavalli.
Achille
trovava tutto ciò bizzarro ed
attraente allo stesso modo, anche se
da Giulia avrebbe accettato
qualsiasi cosa.
Come accettava
di buon grado di fare il cavallo,
alle briglie di Giulia, nelle corse
al galoppo giù per la discesa nel
cortile.
Quando Achille
compì dieci anni, frequentava la
quinta elementare, i suoi genitori
decisero di cambiare casa, in un
appartamento più grande e
confortevole di un altro quartiere
di quella città.
Era l’inizio
di un altro distacco che, ancora una
volta, si trovava a subire senza
poter far nulla per opporsi.
Lo prese una
sofferenza taciturna, fisica, che
dal cervello si trasferiva allo
stomaco e viceversa, senza trovare,
però, uno sbocco fuori da se.
Neanche il
gioco riusciva più a dargli la
stessa sensazione di gioia e libertà
che provava prima nel rincorrere il
pallone nel piccolo cortile.
Trovava
insopportabile e ingiusto dover
lasciare quel luogo che, piano
piano, aveva trasformato nel miglior
posto al mondo per vivere e giocare.
Insieme a
Giulia, anche se ancora non lo
sapeva, stava per perdere anche la
sua infanzia.
Aveva solo
dieci anni e gli rimaneva ancora il
calcio, il suo secondo grande amore.